Corpi che ascoltano
Di Sonia Lucia Malfatti
La ricerca di Caterina Gobbi unisce suono, materia, performance ed energia emotiva. Installazioni immersive e fruizione attiva, per imparare nuovamente ad ascoltare con consapevolezza.
Il suono di per sé riempie lo spazio, è immateriale nel senso che non si vede ma è un materiale molto forte, che invade. Caterina Gobbi
Continuano gli appuntamenti con il ciclo di workshop 10×10, organizzati negli spazi di Officina Giovani dall’associazione culturale CUT | Circuito Urbano Temporaneo e dal collettivo MASC – Magazzino Arte Sociale Contemporanea.
“Un’ottima opportunità”, afferma Stefania Rinaldi “per incontrare nuove professionalità e contaminare lo spazio condiviso”.
Sabato 27 novembre abbiamo avuto il piacere di ospitare Caterina Gobbi, giovane soundartist valdostana la cui ricerca si muove fra Italia, Londra e Berlino. Nelle sue opere, che mescolano lavoro sul suono e performance, Caterina indaga il rapporto fra l’essere umano e il suo sentire in relazione all’ambiente che lo circonda. In un mondo in cui gli stimoli visivi sono di gran lunga prevalenti, Caterina vuole riportare l’attenzione e la consapevolezza sul suono che ci circonda in ogni istante, pervasivamente, ma a cui spesso non prestiamo attenzione.
Afferma Caterina, con grande efficacia:
Ascoltare è più importante che sentire.
Le installazioni dell’artista uniscono la ricerca sul materiale – derivato da una formazione nel campo dell’industrial design – l’interesse per la musica elettronica e il rapporto fra il fruitore e l’opera. Queste opere appaiono come oggetti che risuonano essi stessi, attraverso l’utilizzo di “trasduttori” e microfoni, che trasformano il materiale in una sorta di cassa acustica. Lo spazio in cui è immersa l’installazione è un ingrediente fondamentale che amplifica il suono o aggiunge nuovi elementi all’ambiente sonoro che si viene a creare.
Il suono nelle sue diverse declinazioni è il vero protagonista del lavoro di Caterina Gobbi: suono ambientale, suono umano, suono della materia, suono elettronico. Per l’artista è importante abbandonare l’idea che il suono sia captato soltanto tramite l’orecchio e l’apparato uditivo. Percepire il suono è un’esperienza totalizzante: Caterina, in modo molto suggestivo, parla di corpi che ascoltano, ed è interessata ad esplorare l’effetto del suono su tutto il corpo. Per questo, le sue installazioni prendono vita insieme al movimento degli spettatori, che ascoltano, camminano, si muovono, in quella che Caterina definisce un’azione viscerale. La stessa performance dell’artista è in continuo movimento attraverso lo spazio espositivo.
Altro aspetto del suono che viene indagato con profondo interesse è quello dell’affect, ovvero la potenzialità del suono di trasmettere sensazioni ed emozioni. Afferma Caterina:
Nel suono ho trovato facilmente una modalità di espressione in questo senso. Quando compongo i miei pezzi non lo faccio secondo una scala musicale o una spartito, ma approccio la composizione in questo modo: qual è la sensazione che mi piacerebbe dare.
Non possiamo sapere quale precisa sensazione l’artista voglia trasmetterci di volta in volta, ma sicuramente le sue opere, anche attraverso titoli altamente evocativi, ci parlano e ci comunicano in un modo quasi umano, con un’attitudine che ci spinge a soffermarci, a rimanere in ascolto attivamente, ad emozionarci.
Con questo tipo di approccio l’artista indaga temi importanti dell’attualità, come le problematiche ecologiche, l’identità di genere, il femminismo, la politica. Ad esempio, in un suo recente lavoro, The voice of the Glacier, Caterina ha condotto un’accurata indagine di field recording per captare i suoni dati dai movimenti dei ghiacciai e riflettere sulla tematica del loro scioglimento. Un lavoro che Caterina interpreta anche come una vera e propria ricerca di un suono arduo da trovare e da ascoltare, come un andare a cercare il suono che coinvolge anche l’aspetto fisico dell’arrampicarsi in luoghi impervi e difficilmente raggiungibili.
L’opera di Caterina Gobbi ha una componente tecnica e tecnologica importante. Caterina è un’artista faber, che parte dal lavoro concreto delle mani: i suoi studi e la sua inclinazione personale la portano ad un estremo interesse per le caratteristiche differenti dei materiali. Come tutti i percorsi artistici, anche quello di Caterina è fatto di cambiamenti, dubbi, domande e nuove risposte. Il lavoro concreto sulla materia ad un certo punto non le basta più, Caterina sente l’esigenza di esplorare, di provare nuove emozioni, di ricercare in nuovi campi, fino a giungere ad una brillante ed originalissima sintesi artistica. Afferma l’artista:
Ho avuto un periodo in cui era come se i materiali non mi parlassero più e non mi dessero più emozioni. Per cui ho iniziato ad usare il corpo e vedere cosa succedeva se eliminavo tutta la parte materica dalla mia pratica. Ho deciso di fare un master, perché nel mondo dell’arte c’è questa cosa della scuola, un po’ rigida, è una parte del percorso un po’ obbligatoria, conservatrice. Sono tornata in Inghilterra per fare un master di performance. E da lì poi – quando si è a scuola si è sempre confusi, perché ci sono un sacco di opinioni diverse con cui ci si viene a confrontare – un amico di Londra mi ha detto: “Dai, perché non facciamo musica?”. Per cui, con programmi da computer, abbiamo deciso di creare delle tracce e di scambiarcele. E durante il master ho pensato “Perché non metto tutto insieme?” L’interesse per il suono è nato quando ho messo tutto insieme, per vedere cosa succedeva nell’unire tutte le cose.
La risposta a questa domanda, cosa succede nell’unire tutti questi ingredienti – suono, materia, rielaborazione tecnologica, energia emotiva, performance – sono le affascinanti opere di Caterina.
Durante il nostro workshop abbiamo avuto dunque l’occasione di conoscere più da vicino l’originale ricerca artistica di Caterina Gobbi. In un secondo momento, come di prassi nel format 10×10, siamo passati alla fase laboratoriale. L’artista ha proposto ai partecipanti un esercizio di improvvisazione sul suono. Ci siamo raccolti in cerchio e divisi in due gruppi. A turno, il gruppo A ha eseguito una serie di suoni e rumori con strumenti più o meno improvvisati; il gruppo B ha risposto coerentemente al suono con altri strumenti, cercando di imitare ciò che aveva fatto il primo gruppo. Un esperimento interessante, che ci ha spinti ad una riflessione sul sapere ascoltare l’altro, pazientemente, rispettosamente e con attenzione, in modo da poter offrire una risposta adeguata e coerente. Uno spunto davvero interessante, in un momento storico in cui, sfruttando il palcoscenico dei social, si cerca spesso di urlare forte le proprie opinioni, facendo a gara a chi copre di più la voce e la dissonanza altrui. Noi, invece, ci siamo fermati ad ascoltare e ad ascoltarci. Poco importa se al posto delle parole ci sono stati i suoni. L’esperimento è perfettamente riuscito.
La parte conclusiva del workshop ha visto la realizzazione di un soundscape, ovvero di un paesaggio sonoro, secondo la tecnica dell’improvvisazione. La traccia audio così prodotta sarà presente nella mostra collettiva finale di 10×10. I partecipanti hanno dato ciascuno il proprio contributo utilizzando strumenti portati da casa o offerti dall’artista: varie tipologie di microfoni, strumenti in legno, strumenti a corde o metallici, voci, ma anche rumori improvvisati con oggetti presenti nell’ambiente circostante. Il risultato è stato incredibilmente affascinante: in un momento di sospensione nel tempo e nello spazio, insieme, ci siamo ascoltati e ci siamo espressi in assoluta libertà, con un intento collaborativo, partecipativo e condiviso. Ancora una volta, l’arte ha compiuto la sua grande magia.
Ecco alcuni scatti dell’incontro realizzati da Simone Ridi:





















DI SEGUITO IL PODMASC DEDICATO ALL’ARTISTA , CURATO DAL COLLETTIVO MASC… BUON ASCOLTO!!!!!
RINGRAZIAMO ANCORA CATERINA GOBBI CHE CI HA APERTO IL MONDO DEL SUONO E CI VEDIAMO SEMPRE CURIOSI A GENNAIO… BUON FINE 2021 DA CUT | Circuito Urbano Temporaneo
10×10 | Dialoghi sull’arte è all’interno del progetto Officina delle Voci, con capofila il Comune di Prato, cofinanziato dal Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale a valere sul “Fondo Politiche giovanili” che mira a creare uno spazio dove trasformare le idee dei giovani in nuove imprese, in crescita e sviluppo professionale, sociale e culturale, che si configuri come un “incubatore” dedicato alla sperimentazione di interventi innovativi per valorizzare la memoria della città operaia e rivitalizzare l’offerta culturale della città.
