CUT | Circuito Urbano Temporaneo è felice di essere stato selezionato all’interno della rosa di 14 realtà non profit per i9 – spazi indipendenti di ArtVerona2018, la sezione a cura di Cristiano Seganfreddo che racconta il variegato scenario dei project space, sempre più attivo nella produzione artistica contemporanea. La selezione è in partnership con il MAXXI – (Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma)
ECCO LE REALTA’ SELEZIONATE:
CUT | Circuito Urbano Temporaneo, Prato // FuturDome, Milano // Impasse, Torino // Il Colorificio, Milano // IoDeposito, Treviso – Udine // La Casaforte S.B., Napoli //nL’Ascensore, Palermo // Le Dictateur, Milano // Pelagica, Milano // Porto dell’Arte, Bologna // SpazioBuonasera, Torino // Standards, Milano // The View From Lucania, Potenza // Zoo Zone Art Forum, Roma
Il progetto proposto “Uomini, e non polvere umana!” è a cura di Valeria D’Ambrosio, Stefania Rinaldi ed Erica Romano e vede in dialogo gli artisti Federico Cavallini, Tiziano Doria e Andreas Zampella, immaginando un luogo possibile per una rinnovata relazione sensoriale e immaginifica fra Uomo e Natura, dove le ricerche e le sperimentazioni degli artisti sono spinte al limite della realtà per aprire visioni possibili di cambiamenti quasi invisibili ma radicali.
Una delle più grandi utopie dell’uomo è da sempre quella di imitare la Natura, eccellendo su di essa, rifiutando l’idea di non poterla eguagliare, confidando e affidando il proprio trionfo alla scienza e alla tecnologia. Tendere verso un’emulazione della Natura significa intuire una potenza creativa la cui origine resta ignota. Aspiriamo invano a una qualche forma di autosufficienza, di dominio, di superamento laddove invece non possiamo che dipendere da essa. Questo fallimento esistenziale fa dell’incontro-scontro tra Uomo e Natura un rapporto armonioso e conflittuale insieme. Il pensiero artistico svela allora un processo in divenire che nasce da un’osservazione costante e accurata per generare poi cambiamenti consapevoli, seppur minimi, che vadano a incidere silenziosamente nel contesto in cui si opera.
Pertanto se, come sosteneva Karl Mannheim, “le utopie di oggi divengono la realtà di domani”, le visioni dei tre artisti selezionati per questa mostra si pongono come occasioni realizzabili, generatori di previsioni, paradossi visionari. L’intervento umano interrompe il processo creativo della Natura solo per continuarne la progettualità in un’utopica collaborazione che attraverso l’artificio ridona dignità all’Arte intesa come sua imitazione. È per questo che nella semplicità degli oggetti utilizzati da questi artisti si insinuano sottili e pungenti provocazioni.
Apparentemente invisibile, la manipolazione del supporto naturale da parte di Federico Cavallini (Livorno, 1974) perde la sua artificialità laddove acquisisce lo stesso modus operandi della Natura. Attento osservatore, l’artista si spinge fin dove è concesso a occhio umano di arrivare, analizzando le tracce dei complessi sistemi organizzativi naturali, come quello delle formiche, per ricostruirne con l’immaginazione la possibile evoluzione che muta e rimodella la realtà. Una condizione di costrizione e mimesi, dove le foglie cadute di un albero di pere vengono classificate e conservate tra le pagine di libri sovrapposti e pressati tra di loro: i gambi sporgono dai lati come setole che rendono i libri inavvicinabili trasformandoli in una sorta di anti-libro che torna albero e a cui fa eco in una lingua alternativa.
Riflettendo sul mezzo fotografico come campo di indagine sperimentale, Tiziano Doria (Venosa PT, 1979) rie- labora immagini d’archivio con l’ingrandimento e il collage per trovare nuove chiavi espressive fra i limiti e le potenzialità del reale, come quando la natura umana supera i sistemi tecnologici. È il caso di Nadia Comăneci, atleta romena che alle Olimpiadi di Montréal del 1976 stupì con il suo 10, spiazzando i computer programmati per registrare votazioni fino a un massimo di 9,99. Ripresa un attimo prima della prestazione, l’atleta possiede in sé quel potenziale utopistico oltre ogni aspettativa che non sa ancora di possedere se non per fiducia visio- naria in se stessa. L’artista porta così alla luce attimi densi, intimi e personali, evidenziando quelle reazioni na – scoste che hanno generato cambiamenti lenti e progressivi nella storia.
L’ambiguità insita nell’utopia degli strumenti è, in Andreas Zampella (Salerno, 1989), pervasa dal sogno di una riconversione di senso capace di appropriarsi di nuovi significati utili alla riflessione sulle possibilità di Natura. Assemblando materiali naturali poi modificati artificialmente dall’uomo, come il rame sotto forma di
moneta, l’artista realizza armi primitive contemporanee che, nell’illusione di evadere dalla realtà, si trasformano da oggetto di offesa in oggetto di poetica difesa, offrendo una testimonianza rivelatrice seppur immaginifica del mondo. Questa dualità è anche l’essenza dei mattoni realizzati con la carne cruda che, inglobata in resina epossidica, diventano simbolo di rinascita e violenza insieme. Una materia sensibile che pulsa, sanguina e oppone resistenza al punto da provocare la rottura del mattone che cede alla forza del reale e al suo grido di libertà.
Quella tra Uomo e Natura è una relazione che ha sempre vissuto di momenti alterni, fra immersione, resistenza e violenza. È di fatto una questione che si scontra con la maturità dei tempi in cui l’Arte si pone allora come l’unica vera figura utopica dotata di una forza profetica capace di attingere dalla propulsione libera e creatrice della Natura e di realizzare quelle che sono le possibilità presenti nella Storia. Nel poema Le dernier chant du pèlerinage d’Harold (1825), Alphonse de Lamartine dedica all’Italia versi impietosi scritti nel suo periodo di residenza fiorentina e con i quali lancia un grido disperato alla miseria del presente guardando con nostalgia al glorioso passato di un paese in cui spera, un giorno, di trovare “Uomini, e non polvere umana!”. Perché è nella speranza che le utopie acquistano quella natura di “verità premature” che, secondo il poeta francese, possono essere conquistate a poco a poco, di generazione in generazione, trasformando il futuro da potenziale occasione in realtà.