// Flavia Bucci
“Penso al mio percorso artistico come un motivo continuo di ricerca e di scoperta, di interpretazione e di comprensione di ciò che mi circonda. Il mio obiettivo è questo: capire. Credo nell’ arte come atto comunicativo che vada oltre il mondo della descrizione, per ritrovarsi nell’ universo delle sensazioni e delle percezioni. Mi servo spesso di un linguaggio impropriamente fotografico, utilizzando mezzi che fanno parte, oramai, della nostra quotidianità. La mia riflessione mira a trovare un punto di congiunzione tra me e il mondo: cerco di agganciare il mio tempo individuale ad uno collettivo molto più rapido che, spesso, fa fatica a mettere a fuoco i dettagli. Il mio è uno spunto per l’osservazione di quello che si può scorgere intorno a noi, mi soffermo, punto la mia lente d’ingrandimento su ciò che m’incuriosisce di più. Voglio fondermi, senza confondermi, con il mondo.”
“Esercizi d’Igiene è togliersi il pensiero, risolvere, concludere. Questa libera scelta di immagini appartiene ad un progetto composto da 3761 fotografie ottenute scannerizzando, uno per uno, tutti gli oggetti che avevo in casa. Si è trattato di una sorta di rituale che mi ha permesso di raccogliere e successivamente archiviare tutti i pezzi di 5 anni di vita, accumulati come il frutto di una quotidiana apocalisse. Esercizi d’Igiene è la rivalutazione di ogni singolo frammento, imprigionato in un sistema che ne permette l’interrogazione, l’esame; è la voglia di mettere da parte, con la consapevolezza di non aver tralasciato nulla, neanche il phon.”
“Non so se sia la realtà a non bastare a chi fa i quadri, i videogiochi, le canzoni, i film, i robot, a chi scopre gli elettroni o la penicillina, o se, viceversa a chi ha trovato qualcosa che prima non c’era, di colpo la “realtà” inizi a stargli stretta, come un vecchio vestito, non lo so, so che l’unica cosa che si può decidere è se tenerlo o meno questo vestito nuovo.”
“Quello che della pittura, e di ogni altro mezzo, mi ha sempre affascinato, è la sua possibilità di trasformazione delle cose, la sua capacità di afferrare la realtà, ma automaticamente portarla in un’altra dimensione, più vicina a come vede le cose chi la fa, o forse, a come vorrebbe che le cose fossero”
“mi piace, il fatto che attraverso l’arte l’orizzonte non si esaurisce mai in quello che è, ma si allarga, di continuo. E’ questo l’atteggiamento che cerco di mantenere davanti alle immagini, di disponibilità nei confronti di quello che potrebbero dirmi, che è sempre più grande di quello che io avrei potuto immaginare”
“ Lo studio: non luogo solitario, ma Merzebau, bric-à-brac, opera d’arte totale, installazione, dispositivo colmo di idee, di quadri ,di stampe alle pareti e dentro agli scaffali, ricordi di altri posti e di persone, che ti hanno aiutato a diventare quello che sei, che hanno cucito un po’ del tuo abito; di cose che sarebbero potute essere, e tu con loro, diverso da come sei, di colori freschi ed acquaragia.”
“La linea di contorno, nella sua configurazione percepibile, viene inventata dall’uomo per fissare le forme mutevoli del visibile: è la condizione essenziale per conchiudere una forma, poterla percepire e valutare, ma sopratutto è la conditio sine qua non della creazione grafica e del processo di semiosi. La linea, interrompendo l’isotropia dello spazio, dà vita alle dialettiche del dentro-fuori, limitato e illimitato, incluso-escluso.. Il contorno, delimitando lo spazio in una forma, lo rende immediatamente più denso e pregnante rispetto allo sfondo: costituendo, la ragion d’essere della figura, la linea perde la sua oggettualità materica a favore della superficie che racchiude, oggettualizzandola e rendendola cosa; ma dal momento che non è possibile separare il contorno dalla forma o percepire quest’ultima al di là del suo contorno, significa che la forma è sia “il” che “nel” contorno che la racchiude. Si potrebbe affermare che nella rappresentazione, quanto nella progettazione e nello studio, la linea svolga la stessa funzione che il verbo essere assolve all’interno del linguaggio verbale: una sorta di copula tra pensiero e cosa. La copula infatti, non ha un significato autonomo, lo ottiene in presenza di un aggettivo o un sostantivo: la linea disegnata acquisisce un significato specifico solo nell’espressione qualitativa della forma o della quantità; essa si presenta allora come componente a partire dalla quale si sviluppa il predicato nominale della figura, in grado di esprimere informazioni e percetti sulla cosa rappresentata.
Così, nella prosa del mondo la conoscenza si sviluppa a partire da concatenazioni di similitudini all’interno di una ri -rappresentazione del medesimo col diverso: è stato grazie a questo processo mentale che si è manifestata la facoltà di organizzare il gioco di simboli atto a nominare le cose.
Il contorno, dunque, consente al dicibile come al visibile di significare, è un luogo di morfogenesi del senso: per lo sguardo è il limite delle cose tanto quanto l’orizzonte è il limite
del mondo. E’ il luogo in cui simpatia e antipatia analogiche coincidono, il segno grafico in cui il predicato nominale del discorso-figura s’incarna.
Il mio lavoro cerca dunque di muoversi all’interno della possibilità semantica del contorno, resa elastica dalla sua presenza/assenza, alla ricerca della partecipazione attiva nella produzione di senso da parte dell’osservatore.”
“La famiglia. I cassetti. I letti. Le chiavi. Le spade. Le bandiere. I coltelli. Le forbici. L’ago. Il cotone. I tagli. Il desiderio madre. Le aperture. Le cicatrici. Il dentro. La coppia. Le porte. Il figlio. Le case. Lo specchio. I cuori. Il silenzio. Le bocche. I figli. Il desiderio amante. Il sangue delle donne. I fiumi. La lava. Le mappe. I buchi. Le ferite. Maria. Il bambolotto. La terra di sua nonna. La rosa. I panni da lavare. Medea. La carne. La perforatrice. La semina. La resurrezione. I piatti da lavare. La sposa. La raccolta. La sala operatoria. Questo trovava nel sogno.
Urgenza, giudizio ufficiale del vocabolario: necessità impellente. Lei aveva urgenza di pittura, ma non era solo quello, era urgenza di tenere, di conservare. Quell’ emozione andava segnata d’urgenza. Era un provvedimento d’urgenza. Era una procedura d’urgenza. Era una chirurgia d’urgenza. Era un pronto soccorso alle sue emozioni. I pronti soccorsi da fare erano tanti, richiedevano una certa rapidità. Erano situazioni che richiedevano interventi immediati. Era un’emergenza o l’emozione sarebbe stata in pericolo di vita. Lei aveva l’obbligo di immediato intervento.
Ora lei sentiva urgenza di un letto.”